“Quando si è allontanato per prepararmi il caffè, io ho osservato i ritratti e le fotografie appesi alle pareti – Pietro di Serbia, Alessandro, morto quattro mesi fa, la regina Maria con i suoi tre figli, stampe di vari Obrenović e Karađorđević del passato, il principe Miloš con il colletto alto e la cravatta alla Wellington e, più interessanti di tutti, infinite incisioni di celebri comitagi e voivodi, con i cappellini tondi con la calotta piatta, i panciotti ricamati e le pistole con le finiture d’ottone e gli iatagan infilati nelle fusciacche; comunque, le loro facce parevano piuttosto gentili, con occhi profondi e pensosi e i baffi piegati in giù. C’erano anche un’immagine di montenegrini impegnati in una danza delle spade, con gli aiducchi che tenevano il tempo battendo le mani, e una della sanguinaria battaglia di Kosovo Polje, con gli infedeli che si rotolavano nel proprio sangue, i turbanti calpestati a terra, e sopra gli slavi vittoriosi e felici sui cavalli in impennata. Nessuno avrebbe potuto pensare che in realtà l’avevano persa, quella battaglia.”